Galileo Galilei non fu l'inventore del cannocchiale, ma fu colui che trasformò quello che veniva considerato quasi un giocattolo in uno strumento di grande perfezione, adatto all'indagine scientifica del cosmo. In un certo senso lo ha reinventato nell'agosto del 1609, dato che non ebbe mai fra le mani uno di quei piccoli strumenti provenienti dalle Fiandre e ne aveva solo sentito parlare come di oggetti che permettevano di vedere vicine le cose lontane. La paternità del cannocchiale fu oggetto di grandi discussioni all'epoca, tanto che nel 1665 fu addirittura pubblicato un libro "De vero telescopii inventore", per far luce sul problema, senza tuttavia arrivare ad una conclusione condivisa. L'intuizione che mediante una combinazione di lenti si potesse realizzare uno strumento per l'osservazione astronomica si può far risalire addirittura a Leonardo da Vinci, un secolo prima, che nel suo "Codice Atlantico" (vol. VI, foglio 518) parla di "Far occhiali per vedere la luna più grande".
Il 21 agosto 1609, Galileo mostra la prima realizzazione del suo strumento a senatori e notabili veneziani dal campanile di San Marco, a Venezia e, con lettera datata 24 agosto, presenta il cannocchiale al Doge, ottenendo un grande successo. Ritornato a Padova, dove risiedeva, lo perfeziona ulteriormente portandolo a 20 e addirittura a 30 ingrandimenti, quando i cannocchiali di costruzione olandese raggiungevano appena i 4.
Il successo veneziano sarebbe stato cosa effimera se Galileo non avesse subito compreso che il cannocchiale non era tanto da utilizzare guardando a terra quanto rivolgendolo verso il cielo. La Luna, Giove e la Via Lattea sono i primi oggetti celesti verso i quali Galileo punta il cannocchiale scoprendo in essi caratteristiche che mai uomo prima di lui aveva visto.
"Così infinitamente rendo grazie a Dio che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta" scriverà (lettera a Belisario Vinta datata Venezia 30 gennaio 1610) descrivendo il suo esaltato stato d'animo nel fatidico autunno del 1609 quando gli si presentarono innanzi le nuove visioni celesti. Le scoperte che Galileo fa con il suo telescopio hanno tutte un duplice aspetto. Da una parte egli è in grado di descrivere strutture celesti mai viste prima di allora, dall'altro tutto ciò che osserva costituisce un duro colpo alle teorie aristoteliche allora in voga e profondamente radicate. La natura scabrosa della superficie lunare, densa di crateri e montagne, era in aperta contraddizione con la forma perfettamente sferica e liscia che dovevano avere i corpi celesti secondo Aristotele, il quale considerava inoltre la Via Lattea come il prodotto di vapori che si incendiavano nella parte alta dell'atmosfera. Galileo invece dimostra che essa è formata da una congerie di stelle. La scoperta che attorno al pianeta Giove ruotano 4 satelliti mostra che esistono altri centri del moto e pertanto la Terra perde l'unicità di essere al centro del moto dei pianeti, come voluto dal sistema aristotelico-tolemaico. La successiva scoperta delle fasi di Venere è un punto a favore del sistema copernicano di cui Galileo diventa vivace assertore. Il cannocchiale rivela inoltre che il pianeta Saturno ha 2 appendici (a Galileo appare "tricorporeo") che, con telescopi più potenti, si mostreranno essere il risultato di un anello che circonda il pianeta. Infine anche il Sole rivela sulla sua superficie delle macchie oscure, fenomeno contrario alla perfezione aristotelica dei corpi celesti. Già dopo le primissime scoperte Galileo sente di aver rivoluzionato non solo le singole conoscenze dell'epoca, ma l'intera concezione del mondo e avverte la necessità di comunicarla quanto prima. Nel marzo del 1610 pubblica il "Sidereus Nuncius", un libricino che consta solo di 28 pagine recto e verso, ma è destinato a diventare un libro epocale, uno di quei libri che segnano la storia dell'uomo. Il "Sidereus Nuncius" ebbe un grande successo tra gli studiosi europei contemporanei, subito fu oggetto di grande esaltazione da parte di molti scienziati e al tempo stesso destò anche incredulità. Ricordiamo che il suo collega padovano, Cesare Cremonini, fervido peripatetico, si rifiutava addirittura di guardare attraverso il cannocchiale e si burlava delle osservazioni di Galileo.
Il cannocchiale e le scoperte fatte mediante il suo uso destarono grandissimo stupore e meraviglia nei letterati e negli artisti dell'epoca che li celebrarono incondizionatamente nelle loro opere, nelle loro poesie e nelle loro pitture.
Il più grande poeta della letteratura italiana del '600, Giovanni Battista Marino, nella sua opera poetica principale, l'Adone", pubblicata nel 1623, introduce un'Ode a Galileo dove viene dimostrata una grande ammirazione per le scoperte annunciate nel Sidereus Nuncius, fatte "mercè d'un ammirabile stromento/ per cui ciò ch'è lontan vicino appare". L'Ode termina con il famoso verso dedicato a Galileo: "favelleran di te sempre le stelle".
Nel 1654, il trattatista Emanuele Tesauro pubblica un'opera di successo il cui titolo "Il cannocchiale aristotelico" riflette la grande influenza che lo strumento galileiano ebbe sugli uomini di lettere. Il titolo è un vero e proprio ossimoro in quanto fu proprio il cannocchiale a distruggere il mondo aristotelico. Molto bello è il frontespizio dell'opera che mostra la Poesia, affiancata dalla Pittura, che regge un lungo cannocchiale.
Una bella Ode in latino inneggiante alle scoperte fatte con il cannocchiale costruito mettendo insieme lenti di vetro (…repertos/Docte tuo Galilaee vitro) fu inviata a Galileo nel 1620 dal cardinale Maffeo Barberini, intitolata in modo ambiguo e forse scherzoso "Adulatio Perniciosa". Ironia della sorte la condanna di Galileo del 1633 avvenne proprio dopo che il cardinale fu nominato Pontefice con il nome di Urbano VIII.
I pittori esaltarono sia il cannocchiale sia le scoperte fatte con questo. Appena si sparse la notizia che la Via Lattea era formate da tante deboli stelle visibili solo con il cannocchiale, Adam Elsheimer dipinse il capolavoro "La fuga in Egitto" dove il grandioso fenomeno celeste è realisticamente rappresentato con tanti puntini bianchi corrispondenti alle singole stelle. Il quadro è ricco di significati simbolici in quanto ciò che avviene sulla terra ha il suo corrispondente nel cielo, che occupa più di metà della scena.
Nel 1610, il Papa Paolo V Borghese commissiona un importante affresco a Lodovico Cardi, detto il Cigoli, per decorare la volta della Cappella Paolina, in Santa Maria Maggiore a Roma, con l'immagine dell'Immacolata. Nel dipingere la Luna, sulla quale poggiano i piedi della Vergine.
Il Cigoli si ispira ai disegni di Galileo del "Sidereus Nuncius" e rappresenta il nostro satellite corrugato, ricco di crateri e catene montuose, molto simile alla Terra e non al corpo celeste che fino ad allora si riteneva appartenente ai cieli incorruttibili.
Divertente è la tela del Guercino, dipinta nel 1647, dove il pastore Endimione, innamorato della Luna, è rappresentato con un cannocchiale, anziché con il bastone tipico dell'iconografia corrente, per meglio contemplare la sua amata.
Intrigante e ricco di contenuti è il quadro del 1645 di Niccolò Tornioli che raffigura una disputa fra astronomi. I personaggi, da sinistra a destra, sono Tolomeo, Aristotele, una figura di donna, Copernico che indica le fasi lunari a sostegno del suo sistema, la musa dell'Astronomia, un gruppo di 3 uomini, il più giovane dei quali, in primo piano, guarda attraverso un cannocchiale. L'ultimo volto a destra sembra essere il ritratto di Galileo. Cosa molto curiosa il cannocchiale, anziché essere puntato verso l'alto al cielo, è rivolto verso una rappresentazione della volta celeste su di un globo.
Quasi una divinizzazione del cannocchiale è presenta nell'antiporta delle "Opere di Galileo Galilei" stampate nel 1656 dove Galileo offre il suo cannocchiale inginocchiato davanti alle personificazioni dell'Astronomia, della Matematica e dell'Ottica. E il cannocchiale è portato alto nei cieli, al di sopra delle nuvole, nel tondo dipinto da Johann Michael Rottmayr, uno dei grandi maestri del barocco austriaco. Una vera e propria apoteosi del cannocchiale.
Al Prado c'è un interessante dipinto attribuito a Rubens e Jan Brueghel . Vi sono rappresentati numerosi strumenti scientifici e tra questi un cannocchiale, posto tra le figure di Venere e Cupido, che si fa notare per l'altissimo grado di finiture atte a renderlo anche un artistico elemento di decorazione ambientale.
Forse la prima rappresentazione pittorica di un cannocchiale giocattolo è presente in un quadro di Jan Brueghel dove, tra i personaggi sulla sinistra, si distingue l'arciduca Alberto VII che osserva il Castello di Mariemont.
Un secolo dopo le prime osservazioni di Galileo, il cannocchiale e gli oggetti celesti, con i particolari da questo rivelati, trovano una celebrazione in una serie di 8 tele raffiguranti un raffinato paesaggio, nella maggior parte notturno, entro il quale sono presenti strumenti scientifici e le immagini, in grandezza sproporzionata rispetto all'ambiente circostante, dei 5 pianeti, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, della Luna e del Sole e infine di una cometa. I quadri mostrano quanto di meglio la pittura paesaggistica dell'epoca era in grado di esprimere ed oltre che dagli strumenti sono popolati da astronomi intenti all'osservazione, da gentiluomini e da dame. L'autore dei quadri eseguiti nel 1711 è il notissimo pittore bolognese Donato Creti che si avvalse dell'opera di un miniaturista per meglio rappresentare gli oggetti celesti come erano visti col cannocchiale. Questa serie di quadri, che fu offerta al Papa Clemente XI per perorare la costruzione di un osservatorio astronomico, testimoniano come a quei tempi arte e scienza non appartenessero a sfere separate della cultura, ma fossero compenetrate una nell'altra.